22 agosto 2007

non c'è tempo per altre parole:

buonviaggioanoi.

18 agosto 2007

numero otto.

l'autobus numero otto parte da piazza stamira, dall'altra parte rispetto al novantuno e al novantadue; tutti e tre passano vicino a casa, ma io ho sempre preferito l'otto. il tragitto è più lungo ma mi lascia dove non devo fare salite.

ho quattordici anni e attraverso l'ennesimo pomeriggio invernale in mezzo a centinaia di visi brufolosi che si scrutano a vicenda. le ragazze si tengono a braccetto, i ragazzi raramente tolgono le mani dalle tasche; tutti, ragazzi e ragazze, sanno che le vasche per corso garibaldi, dalle cinque alle sette e tre quarti sono il meglio che si possa avere. io no. alle otto e cinque sono già sul mio sedile, con un biglietto obliterato nelle tasche dei pantaloni più larghi e brutti che ho trovato nell'armadio. non amo piacere, detesto mostrarmi, del resto ho quattordici anni.

l'otto parte al dieci e al quaranta di ogni ora, la mattina è pieno di signore anziane che lottano per un posto di ritorno dal giro al mercato. parlano dei loro nipoti belli dolci e intelligenti trascinando e deformando le vocali come solo gli anconetani sanno fare. mì nipote è 'n fiolo bravo 'mbel po'. io le guardo e non faccio altro che pensare che dopo una certa età tutte le donne hanno la stessa orribile capigliatura.

ho diciassette anni ed è un po' che le mie amiche hanno capito che preferisco stare a casa, il sabato dopo scout. arianna è una buona amica, anche se stiamo conoscendo seriamente solo da qualche mese, perchè odia le ragazze che girano a braccetto. vado a scuola a piedi, magari è la volta buona che dimagrisco un po'. durante il tragitto arrivano i primi pensieri grigi e la fame copre il sole mattutino; non faccio quasi mai in tempo ad arrivare a scuola prima aver ingurgitato una quantità imbarazzante di merendine in un bar vicino al liceo. il proprietario è un uomo di età indefinibile; una volta mentre compravo quattro mars mi ha detto se stavo bigiando, se volevo rimanere lì con lui. ho lasciato i mars e sono uscita, più disgustata da quella situazione di quanto lo fossi di me stessa.

c'è una fermata vicina al mio liceo, davanti al bar. certe mattine tristi sono salita sull'otto senza mettere piede a scuola, sono arrivata a casa in dieci minuti e da sotto le coperte mi sono chiesta chi stessero interrogando al posto mio.

ho vent'anni e quando sono ad ancona non prendo mai l'autobus, non ho la patente ma conosco gente molto gentile. la macchina di laura ha la marmitta bucata e per andare a comprarmi le scarpe nuove siamo andate a piedi. è sabato ma non ci sono ragazzi per il corso ad agosto, e anche se ci fossero a malapena li noterei. parliamo di carlo, di irlanda, di scarpe. per tornare a casa saliamo sull'otto senza biglietto; ho il capelli legati, una maglietta viola, una busta in mano.

saluto laura con la mano, l'otto si allontana e io aspetto sempre qualche secondo prima di inizare a camminare verso casa.

16 agosto 2007

be kind if I'm a mess.

esistono guerre pubbliche vive negli occhi e nella coscienza di tutti. le pagine dei libri di storia e gli appuntamenti quotidiani con il telegiornale ne forniscono ogni dettaglio: numero di caduti, durata delle battaglie, costo degli armamenti.
esistono guerre private che non amano essere raccontate. pulsano dentro un solo cervello, rimbombano in una sola stanza; questo non le rende meno sanguinose o ardue da combattere. sono assordanti per chi vi è coinvolto, silenziose per chi ne è spettatore. troppo difficile spiegarne la dinamica, ancora di più identificarne moventi sensati: per questo se ne stanno zitte.

se tu vedi una guerra dentro di me, sarà quasi sempre perchè i miei occhi te lo dicono o il mio silenzio te lo sussurra. non potrai chiedermi altro proprio perchè il più delle volte sarò a terra sconfitta da quella stessa guerra, con l'orgoglio a brandelli e la testa bassa.

(come adesso)

14 agosto 2007

I'll tell some more about me.

I’ve got no one to call
In the middle of the night anymore
I’m just alone
With my thoughts

I watched a film to change my feelings
Strong enough to bear a burden
If everyone became this sensitive
I wouldn’t have to be so sensitive

tento di analizzare la cosa. la rabbia, chiamiamo le cose col loro nome - ammesso che l'abbiano. ho una quantità illimitata di tempo, righe, pixel a disposizione per darle forma, eppure so che non basteranno.
tra qualchi minuto mi stuferò, penserò che non sono proprio capace di spiegare
fino a che punto sono esausta di sentirmi nient'altro che un diversivo momentaneo, inaccetabile ma anche insostenibile nelle sue esasperanti particolarità; un esserino tutto strano da prendere a piccole dosi, giusto per il lasso di tempo in cui è capace di infilare una battuta dietro l'altra e di mostrarsi curiosa a qualsiasi dettaglio della vita altrui
la mole di frasi nette e sincere ingoiate ma non digerite - stanno tra gola e stomaco, tutte lì - pur di non scatenare conflitti e rompere quella cortina di omertà per cui si chiacchiera bene solo se non ci si azzarda ad andare in profondità; e ieri notte mi sono promessa-la renna di peluche testimone- che tenterò di tirar fuori ciò che penso, in fondo credo che meriti di essere quantomeno ascoltato e considerato
le domande che si accavallano una sull'altra supplicando udienza alla mia razionalità, si trasformano in sogni angoscianti perchè dopo tanto riflettere non ho ottenuto neanche uno straccio di risposta e loro se la sono presa con me
(mi sono stufata, appunto, dopo ventitrè minuti)
insomma, questa è rabbia no? non ha una forma, non ha un bersaglio preciso, ma un nome ce l'ha. potrebbe anche essere "frustrazione postadolescenziale".

ho questa promessa, la tengo stretta, e la renna dice che mi aiuterà a non dimenticarla. dammi una mano anche tu.

12 agosto 2007

she wants nothing but to wake.


ho fatto un incubo stanotte.
peggiore di quelli in cui torno a fare scout in mezzo a visi che mi scrutano indifferenti, peggiore di quelli in cui mi presento impreparata a un esame, peggiore di quelli in cui visi del passato fanno capolino nei modi più assurdi e dolorosi.
persa dentro una metropoli piena di polvere e autobus sfreccianti, ma non so come mi torna in mente anche una casa sperduta tra le montagne, noi due ci separavamo a una velocità inarrestabile. non mi era dato capire perchè, sentivo solo la paura mischiata nelle ossa alla sensazione che finalmente anche lui mi aveva lasciato libera di navigare nella perdita.
navigare nella perdita è facile come nuotare e ridere. è un piacere sottile quello in cui si impara gradualmente a vivere nei ricordi, a sentirsi forti delle cattiverie sparate come proiettili sul petto, a contare nel calendario quanti sono i mesi, gli anni, che ti separano dal giorno in cui ti hanno fatto lo sgambetto definitivo.
capiamoci: io odio l'idea di perdere chi amo, come tutti. il pensiero di perdere il mio ragazzo in sogno mi ha fatto svegliare ancora peggio di come mi ero addormentata.
nei miei miseri vent'anni mi è capitato di perdere, irrimediabilmente, qualcuno. come reazione a volte ho tentato disperatamente di impedire l'allontanamento, altre volte l'ho favorito rifugiandomi in silenzi forzati e situazioni imbarazzanti. ho detto troppo, non ho agito correttamente, non sono stata abbastanza; che poi conta davvero il troppo e l'abbastanza quando il finale è comunque amaro?
conosco la perdita come si potrebbe conoscere la propria città natale; le sue strade le percorro ad occhi chiusi, non ho paura di attraversarla da sola nel buio, la odio e l'amo nel volerla lasciare ma nell'aver paura di quello che c'è fuori. mi culla la familiarità che ho con questo tipo di dolore capace di legittimarmi subdolamente a blindarmi in una roccaforte alta e inespugnabile e ad avere paura degli altri come nemico indistinto.
io / gli altri. in mezzo niente.
manca qualcosa, lo so, manca nelle mie giornate introverse come nei miei viaggi solitari, manca nei racconti fatti a una casa vuota come nell'inesistenza di un presente concreto. spaventata dal dopo e arrabbiata col prima.
fin qui tutto chiaro, ma poi come va la storia? non ho risposte stamattina, nè tantomeno spiegazioni razionali e ottimamente costruite per dare un senso superiore a questa condizione. è così perchè sono speciale, sì, perchè la solitudine mi rende unica e mi eleva a una condizione di maggiore consapevolezza di me stessa nonchè del mondo intero: orribili cazzate che mi rifiuto di accettare, per quanto confortanti,
non ho un seguito stamattina, se non quello in cui certe dinamiche si ripeteranno all'infinito, costruiranno mura sempre più alte alla mia roccaforte e questa salirà così in alto da finire nascosta dalle nuvole. titoli di coda.

10 agosto 2007

my earthly pleasures n° 1.

sentire il cuore esplodere mentre da sola
su un treno vuoto
a mezzanotte in punto
parte lonely lonely
e iniziano a intravedersi i riflessi di luci arancio sul mare del porto.

8 agosto 2007

leggera coraggiosa.

( non ci sono foto, perchè ho lasciato la mia macchina fotografica ad ancona, ormai un settimana fa.
a susen ho usato una macchina gialla usa e getta, ieri non potevo aspettare e abbiamo portato la pellicola a sviluppare. i colori sono sbiaditi e i contorni confusi, d'altronde non potrebbe che essere così. istantanee di sensazioni multicolori difficili da mettere a fuoco, tanto intense quanto poco definite.)

ieri o oggi, non ricordo, ho pensato che fosse ora di piangere. di piegare il sorriso in una smorfia strana, di strizzare gli occhi, e infine scoppiare.
oggi, che non fosse ieri sono sicura, ho pianto. due volte.
le mie lacrime oggi hanno fatto da prologo e da epilogo a un racconto che io conosco già a memoria, ma che al resto del mondo è sconosciuto.
ogni giorno posso decidere ciò che di me si può vedere o non vedere, sapere o non sapere; è una delle poche cose su cui ho la presunzione di avere il controllo. mi piace tenermi stretta qualche certezza in modo totalmente ottuso, come mio nonno fa ogni giorno quando sceglie di essere l'unico uomo in italia a fidarsi del tg4. mi illudo di saper gestire le mie trasparenze perchè a ogni mio segreto si accompagna un profonda - e pesante - vergogna. rivelarmi è il gesto più coraggioso che io possa mai compiere; per contro la vergogna verso me stessa è ciò che mi rende più vile in assoluto.
facendo due conti sono una vigliacca senza pari.
oggi tra le lacrime gli ho aperto uno spiraglio per capire cosa mi avesse annebbiato lo sguardo, combattendo contro la voglia di sotterrare tutto sotto due parole sbrigative che non lasciassero spazio a ulteriori spiegazioni. ho detto. ho lasciato parlare la parte che aveva voglia di urlare e ho lasciato scorrere via dagli occhi quella che non voleva far altro che piangere.
sono passate ore e sono passati abbracci. tutto a posto, certo, non mi rimane che poggiare la mia armatura scintillante da ragazza coraggiosa e addormentarmi più leggera.
certo.
leggera e coraggiosa.
certo.
leggera e coraggiosa.

6 agosto 2007

ladies and gentlemen we're floating in space.

sono appena tornata da tre giorni felici (di tre giovani ragazzi felici nel pieno della loro giovinezza e freschezza intellettuale) in montagna
ora qui c'è simone che mi promette che una casa la troverò, gli voglio credere
e mi ha anche promesso che andremo a comprare tanto gelato alla vaniglia per festeggiare che a urbino un anno fa noi
ci siamo baciati? no.
ci siamo rotolati nell'erba in preda alla passione? no!
in pratica ci siamo fatti? macchè oh.

ci siamo. ecco, sì, un anno fa.