31 maggio 2008

q&a.

con la pelle che brucia e i muscoli già addormentati, penso che questo posto lo conosco a memoria. dalla puzza di pesce appena scesa dal treno in poi non esistono misteri: so come si comporteranno i genitori, i fratelli, le amiche, i concittadini, il cane. so tutto, e non perchè sia particolarmente arguta.

dovrei essere prepararata alle gioie e ai dolori di questo eterno ritorno dell'uguale, mi dico.

eppure da ieri sera non riesco a fare a meno che ripetermi una domanda, che scrivo qui nella speranza che un giorno possa tornare a leggerla con una risposta in tasca (o che qualcuno voglia condividere la sua risposta con me): l'unica via che ho per stare bene è non aspettarmi niente, dalle persone e dalle situazioni? troppe volte sento dire che non avere aspettative e ricevere una bella sorpresa è meglio della delusione che quasi sempre segue come conseguenza al caso contrario. io ci ho provato, mi sono obbligata più volte ad adottare questa tecnica di sospensione del giudizio nella speranza di togliermi di dosso questa costante patina di delusione verso ciò che mi circonda; non resisto più di cinque minuti, naturalmente. mi piace avercela col mondo di default, o semplicemente credo che per apprezzare veramente qualcosa sia necessario che questo si confronti con le mie aspettative, persino nell'eventualità di una assai probabile delusione?
io voglio essere messa nella posizione di stupire o deludere (e in questo caso, se credo ne valga la pena, di migliorarmi) le persone che ho vicino. voglio arrogarmi il diritto di aspettarmi qualcosa da loro, senza sentirmi la solita esigente rigida rompipalle.

(...)

credo di essermi risposta da sola.

30 maggio 2008

I die fast in this city.

i miei tre anni di lezioni alla facoltà di lettere e filosofia di roma3 finiscono senza inutili cerimonie o nostalgie di sorta, con l'ennesimo caffè al bar dello studente e le chiacchiere davanti alla fotocopiatrice con monica - la mia mamma romana, una delle prime persone in cui mi sono imbattuta nell'ottobre 2005. so che tornerò in quel grande edificio grigio molte volte ancora, mi aspettano gli ultimi esami, lo studio dentro l'enorme biblioteca, innumerevoli caffè; però so anche che si accorciano le distanze rispetto al momento in cui saluterò definitivamente quel luogo e tutto ciò che di importante contiene tra le sue mura. verso una destinazione ancora da definirsi.
quello che ho imparato in questi tre anni di cambiamenti sempre più radicali non riguarda tanto percorsi formativi o carriere future (rispetto a cui dire che sono incerta è un pallido eufemismo), ha a che fare con una maggiore consapevolezza sul proprio modo di essere, di vivere, di stare con gli altri: da questo punto di vista ogni giorno da che mi sono trasferita è stato un passo in più dentro me stessa e dentro roma.
appena arrivata, dopo diciott'anni trascorsi una cittadina fastidiosamente tranquilla, la reazione al caos in cui mi ero scaraventata con le stesse mie mani è stata cercare un punto di riferimento nel quartiere in cui ho vissuto per due anni e nella persona che aveva iniziato quest'avventura con me. avevo desiderato con tutta me stessa una nuova realtà ma ora che l'avevo tra le mani ero semplicemente terrorizzata, così ho ritenuto che una continuità con le mie origini fosse l'unico modo per sopravvivere; non capivo ancora che perdere la bussola era l'unico modo per trovare la strada. poi la mia bussola, in una torrida giornata d'agosto, ha deciso di rompersi, lasciandomi libera di buttare alle spalle facce amiche e strade conosciute per avventurarmi nel nuovo.

ad aspettarmi c'era monti, il quartiere ebraico, testaccio, il giardino degli aranci, campo de' fiori, trastevere, le ville i ponti e le terrazze.
ad aspettarmi c'era una tenacia che non credevo di possedere, ma anche paure e ansie nascoste dietro l'angolo che chiedevano solo di essere affrontate.

l'arrivo di simone non era previsto. una sera di dicembre stavamo bevendo una birra in un bar di trastevere, lo avevo appena portato a vedere il gianicolo e la fontana dell'acqua paola, ed è iniziata una discussione su gatti e motorini che ho affrontato con la testa immersa dentro sogni apparentemente irrealizzabili. come potevo sapere che dopo due mesi mi sarei trovata ritrovata a condividere la quotidianità insieme a qualcuno sperduto come me, curioso come me? lui è diventato un punto di riferimento, ma diversamente da arianna non ha mai rappresentato la rassicurazione del passato, bensì le potenzialità di un presente che pulsa sotto le infinite strade di una città sempre meno estranea. la mia - la nostra - crescita ha come premessa necessaria il muoverci senza cartina: la prima volta a villa pamphili ci abbiamo messo due ore per arrivare, e non è che fosse così lontana.
imparare le strade e cercarne di nuove.
perdersi e ritrovare casa.

24 maggio 2008

in a supporting role.

in questi giorni di cielo in perenne evoluzione, il rincorrersi a perdifiato delle nuvole getta sulla città luci diverse, la dipinge di tinte cangianti e mi propone nuove prospettive persino sui luoghi che ormai conosco a memoria. ora so che il pizzaiolo egiziano (egiziano?) che ci sta tanto simpatico sorride anche in mezzo ai più violenti temporali, l'ho osservato lanciare pezzi di buonumore in tutte le direzioni mentre il resto di roma malediva la pioggia e il mondo tutto. mi piacerebbe conoscere la ricetta della sua felicità, e magari anche della sua pizza.
la strada che mi porta all'università alterna tratti di degrado urbanistico quasi affascinante alla bellezza incorruttibile della basilica di san paolo, sotto la cui figura imponente ieri si dispiegava l'umanità più varia che tu possa immaginare. fermarmi a osservare il parco schuster nonostante il ritardo per la lezione di politica economica è stato vedere un quadro molto amato come se fosse la prima volta, è stato rivedermi nel mio primo tragitto sul 23 con gli occhi di un'alessandra più grande di tre anni.
in giorni come questi, giorni in cui il costante mutare del cielo dei colori e delle luci toglie riferimenti dentro al mio pezzo di mondo più familiare, avverto più opprimente che mai il peso di tutte le vite che non sto vivendo se non come perenne attrice non protagonista. di tutte le opportunità che ho lasciato andare per paura, delle scelte che ho rimandato solo per vederle sfumare. delle relazioni di cui ho subito le dinamiche e di quelle in cui non mi sono data abbastanza. il pensiero di tutto ciò che non tornerà mi butta a terra senza preavviso: l'attrice non protagonista ha la faccia spremuta sull'asfalto e le ginocchia sbucciate, il pubblico è scosso dalla prestazione degna di un melò d'altri tempi.
è così che finisce? con me per terra e un repentino cambio di scena verso storie più interessanti? se al pubblico va bene, a me no: il pensiero di tutto ciò che non tornerà mi butta a terra senza preavviso, ma a farmi riprendere il cammino sono le storie che aspettano di essere scritte.
tragiche esaltanti noiose appassionanti, le vivrò più che posso. la platea non se l'aspetta proprio.

21 maggio 2008

il vento stanotte ha chiuso le persiane e i miei occhi appena aperti stamattina non hanno trovato il quotidiano, confortante, spiraglio di luce del buongiorno. piove anche oggi; l'acqua trova spiragli per entrarti dentro al cervello e diluire ogni sensazione, conferendole una pesantezza ingestibile.
esco di casa col cervello annacquato e i piedi freddi, i passi uno dopo l'altro a segnare un percorso in avanti a zig zag tra le pozzanghere e gli ombrelli più grandi del mio, e uno a ritroso in cui un'altra me fa dietro front per ributtarsi nel letto coi vestiti impregnati dell'odore di pioggia. ma ecco, a volte è solo questione di trovare la giusta colonna sonora per sintonizzare i pensieri su ciò che, molto più di questo infinito temporale, toglie leggerezza a ogni singolo movimento che compio, reale o metaforico, in avanti o a ritroso. a volte è solo questione di capire, camminando sotto la pioggia con ed harcourt a braccetto, che il momento in cui si dice basta a qualcosa non dev'essere atteso ma profondamente voluto.
quel momento era lì, lo stavo vivendo con tutta me stessa.
con le macchine che mi carezzavano il fianco volando rapide sull'acqua,
con ed harcourt,
con un sorriso accennato,
con te che non sei mai mai mai lontano,
con i piedi sempre più bagnati,
con la mente sempre più asciutta.



If the storm is coming, the storm is coming
The storm is coming
It's gonna make a beautiful sound
I hope it turns your life upside down

19 maggio 2008

I don’t hear a word they’re saying, only the echoes in my mind.

le piroette dello scorso weekend, coi colori accesi e le emozioni quasi accecanti, hanno lasciato spazio alla pace e alla solitudine di questo.
spazio. avevo bisogno di spazio più di qualsiasi altra cosa al mondo.
intorno a me ho fatto scendere il silenzio mentre tutti avvertivano l'urgenza di seppellirmi sotto cumuli di parole sul niente, ho perimetrato un'area che fosse ampia abbastanza da permettermi i movimenti che sentivo come necessari ma non troppo da dare nell'occhio.
mi sono mossa tra le stanze a piedi nudi, i miei movimenti cullati dagli unici due ospiti ben accetti in questa casa negli ultimi due giorni: il vento, che si faceva strada tra le finestre aperte a ogni ora del giorno, e la musica. ho letto giornali e libri, ho riempito i quaderni di schemi, ho ripetuto il necessario per l'esame che avrò tra due ore, ho cucinato e mangiato, mi sono sdraiata sul letto e da lì ho lasciato la mente vagare dove preferiva solo per il gusto di vedere quale sarebbe stata la destinazione. la destinazione è stata un sogno banale e drammaticamente ingenuo, che strati di razionalizzazioni e di autodisciplina avevano nascosto ai miei occhi e ai miei ricordi, eppure non meno vivido di qualche anno fa. per finire ho infilato la prima maglietta e le prime scarpe e ho camminato; un figura viola, stupita e affascinata tra le vie di testaccio, stupita dai vecchi palazzi, dalle finestre sul cielo blu, dai cortili, dal silenzio di un mondo che la domenica al tramonto è come sospeso.

oggi è lunedì, e io ho un conto in sospeso con charles darwin e con quei gran simpaticoni dei sostenitori del disegno intelligente. andiamo và.

(grazie a chi mi ha commentato pur non avendo niente da consigliare, e a chi per altre vie mi ha fornito perle di arte spagnola!)

17 maggio 2008

c'è nessuno?

pippe mentali a parte, ho un raffreddore che non mi dà pace e sto entrando nella penultima settimana di lezioni della mia prima laurea triennale.
poi esami, poi se dio vuole vacanze.
qui entri in gioco tu, caro lettore, che esisterai pure da qualche parte anche se spesso a scrivere qui mi sento come la particella di sodio della pubblicità, a darmi consigli utili per passare l'esame di spagnolo e permettermi così di accorciare le distanze tra me e la spiaggia di portonovo.
a parte miguel bosè, puoi farmi i nomi di qualche gruppo/cantante spagnolo che faccia canzoni nella sua lingua? l'adorabile russian red purtroppo canta in inglese.
a parte pedro almodovar e la sua sconfinata cinematografia, puoi farmi i nomi di film in lingua spagnola con cui drogarmi per i prossimi dieci giorni?
se non è troppo disturbo, ovvio. muchas gracias!

15 maggio 2008

like a volcanic flow.

non è solo viaggi incontri e amici, la mia vita. non è solo weekend in compagnia, concerti, epifanie che illuminano la quotidianità.
la mia vita è spesso e volentieri una lotta per tenermi a galla, un annaspare poco elegante a vedersi: il tentativo di proiettare ogni mio sforzo sull'altro, anche quello di scrivere un blog che in modo implicito/esplicito non fa altro che allontanare l'attenzione da ciò che di me è più vero proprio perchè più sbagliato, è tutto fuorchè un gesto di antropofilia. è solo cordardo, e sono certa che non mi porterà molto lontano. ho la presunzione di credere che molte persone vivano così, mentendo a sè stesse: guardarsi dentro è doloroso e un buon libro è comunque preferibile.
a rompere una quotidianità costruita ad arte per dimenticarmi di me stessa, due volte a settimana sono costretta a ricordarmi di avere un corpo un cuore e una testa che non sempre agiscono secondo le mie rigide direttive: prendo un autobus che mi porta nel cuore della città, suono un citofono, salgo due piani di scale, mi siedo. e parlo.
bisogna sempre partire sempre da sè stessi, ha detto. come ogni volta è stata implacabile nello smontare la mia non troppo robusta impalcatura di spiegazioni razionali, quasi affettuosa nell'ascoltarmi mentre arrancavo in sempre più deboli tentativi di giustificazione. il dolore che creo, le aspettative che genero, i meccanismi di cui sono motore: tutte cose che seppellirei volentieri sotto strati di vittimismo o di fatalismo da quattro soldi secondo cui, se mi trovo a soffrire o far soffrire, la colpa è o degli altri o è del caso. forse vivrei meglio, sicuramente non scenderei quei due piani con la testa che pulsa e la sensazione piuttosto sgradevole di essere appena finita sotto a un treno.
eppure due volte alla settimana, immancabilmente, sono lì.
la speranza che mi animava due anni fa non si affievolita ma è maturata, è meno cieca e più consapevole: salvare qualcosa della spazzatura che è gran parte di me, se c'è qualcosa da salvare, è solo compito mio. dobbiamo sempre partire da noi stessi, ha detto.

13 maggio 2008

hope they're staying glued together, I've arms for them.


una corsa in taxi sull'appia antica come prologo e epilogo dei nostri tre giorni a madrid, con le stesse due mani che si stringevano e gli stessi occhi che guardavano fuori l'incanto di uno dei luoghi più belli di roma.
in mezzo c'è una storia troppo difficile da raccontare: parla di tre amici che si ritrovano dopo un lungo periodo di silenzio senza spiegazioni, ma ancora di più di tre persone in cammino. mentre imparano a conoscersi di nuovo, i tre amici si accorgono di essere cresciuti di un paio di tacche e, anche se a soli ventun'anni non sanno un bel niente della vita, hanno la presunzione di essere molto migliori del resto del mondo e di sè stessi qualche anno fa. a ventun'anni è lecito, e loro lo sanno. mentre una madrid dal fascino stupefacente li tiene stretti in un abbraccio materno, ognuno dei tre amici racconta storie, dipinge volti, canta canzoni che conducono gli altri un passettino in più dentro la sua vita di adesso, nella speranza che tanto basti per colmare la distanza accumulata.
ho osservato i miei due amici camminare tra i corridoi della stazione di atocha, ho provato a fotografarli mentre riannodavamo meglio che potevano i lacci della loro intimità e mi sono rimaste delle foto mosse di cui solo io colgo l'intensità. ho riso con i miei due amici fino a che le lacrime non mi hanno bruciato le guance insieme al sole del parque del buen retiro, ho riso di battute vecchie e nuove senza il minimo pensiero scuro per la testa. ho salutato i miei due amici davanti alla stazione alto de extremadura, sapendo che tra due mesi torneranno dai loro erasmus con le valigie pesanti di ricordi e i sorrisi già nostalgici.
lasciando che un pezzo di me rimanga con lui a madrid, e un altro la segua a parigi.

7 maggio 2008

nothing ever happens here.

rincorro le giornate con rabbia, non voglio che finiscano. non possono permetterselo.
ho mangiato poco gli ultimi due giorni, più per necessità che per una reale fame, e se mi conoscessi capiresti com'è strano questo per i miei parametri.
ho aspettato una risposta per ventiquattro ore, finchè l'etere mi ha mandato un no doloroso quanto un pugno in faccia: una possibilità volatilizzata dopo mesi di fiducia ma di più, molto di più, la necessità dolorosa di sapere chi voglio essere nella mia vita. dolorosa perchè se togli gli stage, se togli i crediti, se togli le tesine gli esami e le lezioni, se togli tutto e lasci me, non hai che una ragazza di ventunanni che
non ha la più pallida idea di cosa fare della sua vita
.
(chiedo scusa, dovevo essere evidente e esplicativa)
che si guarda intorno perennemente perplessa e febbrilmente curiosa, che ha una
paura abissale
(di nuovo scusa)
e non trova di meglio da fare che rifugiarsi nelle pieghe di una quotidianità piena di doveri al solo scopo di dimenticare l'evidenza sopra-grassettata. ma basta un no, spedito nell'etere, ed è un pugno in faccia impossibile da schivare.


giurisprudenza dovevo fare.

4 maggio 2008

I think everything counts a little more than we think.



stringi stringi ci sono io, io prima e dopo le persone di cui amo scrivere.
io e villa aldobrandini, io e una piramide come stella polare, io e le strade bollenti di roma che questi giorni scoppia di turisti come mine impazzite.
io e una macchina fotografica, io e una matita appuntita, io e innumerevoli tazze di caffè amaro.
io che non riesco a trovarla, la felicità netta di cui tutti parlano, ma che sto iniziando ad arrendermi all'idea che per stare bene devo scendere a patti con uno spiccato talento nel non riuscire ad accontentarmi mai.
io che sono cuspide e posso scegliere se mi piace più l'oroscopo di acquario o pesci, io che scelgo pesci perchè rob brezny parla di idee e io di idee sono piena da scoppiare. per quanto campate in aria, per quanto irrealizzabili e utopiche, mi imbatto in epifanie nascoste dentro le ultime vasche in piscina, dentro flussi di parole sotto un ombrellone, dentro una quantomai abbondante porzione di moussaka.

per amore di completezza ho appurato che, secondo internazionale, sono pesci.
è fatta rob: come tu mi insegni non mi rimane che migliorare la mia vita.

2 maggio 2008


(credo che si possa indovinare quale paio di piedi è il mio)

per tre notti su un materassino da mare, ai piedi del letto di cui solo ora riprendo possesso.
mi accorgo di come questo blog sia alla fin fine una goffa celebrazione delle persone che ho vicino e un altrettanto goffo tentativo di fissare, nel caotico fluttuare dei pensieri, alcuni punti dotati di una pervenza di stabilità. alcune zone in cui proprio quelle beneamate sfumature su cui ogni esistenza si deve basare assumono contorni più netti e tinte più decise. potrei parlare degli okkervil river (l'ho già fatto) o del gelato alla vaniglia (prima o poi lo farò), ma il più delle volte capita che mi venga da parlare delle persone. non di tutti, nemmeno di molti, di certo non di chiunque.
di eleonora, ad esempio, scriverei sempre: il mondo è il suo teatro. tre giorni con lei sono contemporaneamente un viaggio nel tempo, una corsa sull'ottovolante e una seduta dallo psicologo, sono la primavera dopo un inverno di silenzi che mi è parso lunghissimo, sono molte altre cose. in tre miseri giorni ho fatto scorta di ricordi da custodire nella tasca interna della giacca, al riparo da sguardi o mani altrui, e ho inghiottito la mia connaturata ansia da prestazione per provare, per una volta, a darmi senza riserve. ascoltare mi riesce facile: le persone di cui ho voglia di scrivere su questo blog sono innanzitutto quelle a cui dò un'attenzione quasi devota, quelle nella cui vita mi immergo senza paura. essere io a parlare di me: ecco la vera impresa. a volte, più vado avanti e più mi accorgo di quanto rari siano questi episodi di assoluta empatia, mi capita di sentire sotto la pelle la consapevolezza che non c'è davvero bisogno di arginare le proprie ondate di sentimenti e che, non si sa come non si sa perchè, è giunto il momento di prendere la parola. eleonora vede la mia onda e non si scansa, si butta dentro i flutti e si lascia travolgere. e ti travolge.


gli ennesimi saluti di questa primavera sono più sereni di quelli con cristina, meno amari di quelli con arianna e diletta, si riassumono nello slancio di un abbraccio assonnato e nella sicurezza sorridente che ci rivedremo prestissimo.
tra una settimana, a madrid.