30 maggio 2008

I die fast in this city.

i miei tre anni di lezioni alla facoltà di lettere e filosofia di roma3 finiscono senza inutili cerimonie o nostalgie di sorta, con l'ennesimo caffè al bar dello studente e le chiacchiere davanti alla fotocopiatrice con monica - la mia mamma romana, una delle prime persone in cui mi sono imbattuta nell'ottobre 2005. so che tornerò in quel grande edificio grigio molte volte ancora, mi aspettano gli ultimi esami, lo studio dentro l'enorme biblioteca, innumerevoli caffè; però so anche che si accorciano le distanze rispetto al momento in cui saluterò definitivamente quel luogo e tutto ciò che di importante contiene tra le sue mura. verso una destinazione ancora da definirsi.
quello che ho imparato in questi tre anni di cambiamenti sempre più radicali non riguarda tanto percorsi formativi o carriere future (rispetto a cui dire che sono incerta è un pallido eufemismo), ha a che fare con una maggiore consapevolezza sul proprio modo di essere, di vivere, di stare con gli altri: da questo punto di vista ogni giorno da che mi sono trasferita è stato un passo in più dentro me stessa e dentro roma.
appena arrivata, dopo diciott'anni trascorsi una cittadina fastidiosamente tranquilla, la reazione al caos in cui mi ero scaraventata con le stesse mie mani è stata cercare un punto di riferimento nel quartiere in cui ho vissuto per due anni e nella persona che aveva iniziato quest'avventura con me. avevo desiderato con tutta me stessa una nuova realtà ma ora che l'avevo tra le mani ero semplicemente terrorizzata, così ho ritenuto che una continuità con le mie origini fosse l'unico modo per sopravvivere; non capivo ancora che perdere la bussola era l'unico modo per trovare la strada. poi la mia bussola, in una torrida giornata d'agosto, ha deciso di rompersi, lasciandomi libera di buttare alle spalle facce amiche e strade conosciute per avventurarmi nel nuovo.

ad aspettarmi c'era monti, il quartiere ebraico, testaccio, il giardino degli aranci, campo de' fiori, trastevere, le ville i ponti e le terrazze.
ad aspettarmi c'era una tenacia che non credevo di possedere, ma anche paure e ansie nascoste dietro l'angolo che chiedevano solo di essere affrontate.

l'arrivo di simone non era previsto. una sera di dicembre stavamo bevendo una birra in un bar di trastevere, lo avevo appena portato a vedere il gianicolo e la fontana dell'acqua paola, ed è iniziata una discussione su gatti e motorini che ho affrontato con la testa immersa dentro sogni apparentemente irrealizzabili. come potevo sapere che dopo due mesi mi sarei trovata ritrovata a condividere la quotidianità insieme a qualcuno sperduto come me, curioso come me? lui è diventato un punto di riferimento, ma diversamente da arianna non ha mai rappresentato la rassicurazione del passato, bensì le potenzialità di un presente che pulsa sotto le infinite strade di una città sempre meno estranea. la mia - la nostra - crescita ha come premessa necessaria il muoverci senza cartina: la prima volta a villa pamphili ci abbiamo messo due ore per arrivare, e non è che fosse così lontana.
imparare le strade e cercarne di nuove.
perdersi e ritrovare casa.

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