l'autobus numero otto parte da piazza stamira, dall'altra parte rispetto al novantuno e al novantadue; tutti e tre passano vicino a casa, ma io ho sempre preferito l'otto. il tragitto è più lungo ma mi lascia dove non devo fare salite.
ho quattordici anni e attraverso l'ennesimo pomeriggio invernale in mezzo a centinaia di visi brufolosi che si scrutano a vicenda. le ragazze si tengono a braccetto, i ragazzi raramente tolgono le mani dalle tasche; tutti, ragazzi e ragazze, sanno che le vasche per corso garibaldi, dalle cinque alle sette e tre quarti sono il meglio che si possa avere. io no. alle otto e cinque sono già sul mio sedile, con un biglietto obliterato nelle tasche dei pantaloni più larghi e brutti che ho trovato nell'armadio. non amo piacere, detesto mostrarmi, del resto ho quattordici anni.
l'otto parte al dieci e al quaranta di ogni ora, la mattina è pieno di signore anziane che lottano per un posto di ritorno dal giro al mercato. parlano dei loro nipoti belli dolci e intelligenti trascinando e deformando le vocali come solo gli anconetani sanno fare. mì nipote è 'n fiolo bravo 'mbel po'. io le guardo e non faccio altro che pensare che dopo una certa età tutte le donne hanno la stessa orribile capigliatura.
ho diciassette anni ed è un po' che le mie amiche hanno capito che preferisco stare a casa, il sabato dopo scout. arianna è una buona amica, anche se stiamo conoscendo seriamente solo da qualche mese, perchè odia le ragazze che girano a braccetto. vado a scuola a piedi, magari è la volta buona che dimagrisco un po'. durante il tragitto arrivano i primi pensieri grigi e la fame copre il sole mattutino; non faccio quasi mai in tempo ad arrivare a scuola prima aver ingurgitato una quantità imbarazzante di merendine in un bar vicino al liceo. il proprietario è un uomo di età indefinibile; una volta mentre compravo quattro mars mi ha detto se stavo bigiando, se volevo rimanere lì con lui. ho lasciato i mars e sono uscita, più disgustata da quella situazione di quanto lo fossi di me stessa.
c'è una fermata vicina al mio liceo, davanti al bar. certe mattine tristi sono salita sull'otto senza mettere piede a scuola, sono arrivata a casa in dieci minuti e da sotto le coperte mi sono chiesta chi stessero interrogando al posto mio.
ho vent'anni e quando sono ad ancona non prendo mai l'autobus, non ho la patente ma conosco gente molto gentile. la macchina di laura ha la marmitta bucata e per andare a comprarmi le scarpe nuove siamo andate a piedi. è sabato ma non ci sono ragazzi per il corso ad agosto, e anche se ci fossero a malapena li noterei. parliamo di carlo, di irlanda, di scarpe. per tornare a casa saliamo sull'otto senza biglietto; ho il capelli legati, una maglietta viola, una busta in mano.
saluto laura con la mano, l'otto si allontana e io aspetto sempre qualche secondo prima di inizare a camminare verso casa.
18 agosto 2007
numero otto.
scritto da alessandra alle 22:24
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3 commenti:
la linea di un autobus è diventata una linea di ricordi.
e il tuo otto si perde nell'infinito.
sì, è una linea di ricordi. magari diventerò anch'io una vecchietta anconetana che ripercorre tutta la sua vita a bordo dell'otto e parla dei nipotini. (non è la prospettiva più allettante che conosca, ma vabè!)
Una bella narrazione, semplice, veloce, lineare.
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