27 aprile 2008

she never tought it would or could be easy.

(post in ritardo, ma non mi va di cambiarlo. mi piace che rimanga così)

ti avrei detto dei pensieri di queste ultime ventiquattr'ore.

di tutte le volte in cui sono stata sicura di aver perso qualcuno e di come questa sensazione non sia mai stata definitiva. giovedì sera ho chiacchierato fino a notte fonda con una persona che tre anni fa credevo persa, e l'ebrezza di due amiche che si sentono vicine nonostante le distanze e il dolore rimpiva la macchina insieme al fumo delle loro sigarette. solo la mattina dopo mi sono accorta che c'è uno e un solo caso in cui le nostre vite non possono più per definizione incontrarsi con quelle di qualcun altro. che per il resto c'è sempre un'altra possibilità.

della mia famiglia. ho pensato a quello che di noi dò per scontato, ai respiri di mia madre mentre legge sul letto, ai passi di mio padre la mattina all'alba, ai grugniti di federico e alla voce di andrea, che sta diventando quella di un uomo. ho pensato a perchè mia madre abbia preso così tragicamente la notizia di ieri, al perchè di tutte quelle lacrime, e non so se sia empatia verso francesca o la sensazione che anche suo padre se ne andrà presto lasciandosi dietro solo la scia pesante dei suoi silenzi. mamma è così talmente granitica la maggior parte del tempo, lo sai, e non abituerò mai a vederla crollare come una bambina.

ho pensato a cristina, a francesca, e a come le coincidenze più spiacevoli a volte non si verifichino solo nei film. mi sono immaginata la fragilità di cri a otto anni, l'ho immaginata diventare adulta combattendo ogni giorno contro la rabbia e contro il vuoto, cosa che non ho mai fatto davvero in questi mesi insieme ai suoi sorrisi e alla sua ostinata positività. quando domenica a pranzo ho presentato cristina a una francesca piccolissima e distrutta, le avrei voluto dire "guarda, in qualche modo si va avanti e si cresce, guarda lei".

poi però ho pensato all'inutilità dei consigli, dei riferimenti e in fin dei conti delle parole.
a me e a te. alle persone che amiamo e abbiamo amato.
a quel dolore che a volte sento così forte e incurabile, che mi rende cieca nei confronti di una mia reale possibilità di miglioramento.
e poi a me e a te, di nuovo.
i pensieri si sono rincorsi, si rincorrono ancora senza pace. li seguo e cerco di acchiapparli, li prendo in mano e li ho osservo, ci gioco e li lascio volare via.

23 aprile 2008

rumorosamente.


osservare le persone partire ha un sapore strano. la dolcezza di ogni momento trascorso e l'amarezza di sentirlo allontanarsi dietro le spalle si mischiano a un profondo senso di vuoto che oserei definire asperrimo (era dalle elementari che volevo usare questa parola). penso alle numerose volte in cui sono stata io a salire su un treno o un aereo - quello per parigi è partito da ciampino poco meno di sei mesi fa - e mi chiedo cosa possa aver provato chi rimaneva. egoisticamente mi trovo a immaginare che abbiano sentito i sapori che ho in bocca io, che per almeno un attimo abbiano provato una malinconia tanto profonda da dover chiudere gli occhi (anche su un autobus, chessò, in un posto qualunque dove di solito non si chiudono gli occhi), che abbiano avuto la tentazione di rincorrermi e tenermi lì.
non l'hanno fatto, perchè è giusto lasciar andare. è giusto cadere, è giusto rialzarsi, è giusto ingoiare la tristezza insieme al resto, tenerla nello stomaco finchè una volta digerita non ha più potere.
mi concentro sulla dolcezza di essere stata io, questa volta, a spalancare delle porte a loro. anzi, loro le porte le hanno buttate giù a calci come bruce willis nei film. senza chiedere permesso, hanno dormito nel mio soggiorno bevuto la mia camomilla e usato la mia doccia. hanno fatto un giro dentro spicchi del mio mondo: giornate di sole su un prato, esseri umani della più diversa età provenienza e natura, i gelati de la fata morgana, programmi trash da vedere distese su un enorme materasso, foto scattate a caso, fugaci momenti per raccontarsi mentre fuori da freni e frizioni imperversa l'uragano.
e poi sono partite, rumorosamente come sono arrivate.
inebetita e vagamente irritata dalla mia stessa debolezza, sono rimasta ad osservare un'intera giornata trascorrere nell'inutile tentativo di far riavvolgere il tempo. perchè io, si sa, non sono una che ama piangersi addosso. ora che è di nuovo mattino, e ora che non ho nessuno da salutare, sono io a fare le valigie.
il posto sempre quello, ma con una novità dai capelli ricci e il sorriso contagioso.

intanto, se a qualcuno capita di leggere questo post, chiedo un favore: mi consigliate musica per giorni primaverili? per giorni di sole sfacciato, ma anche per giorni di nuvole rapide e vento rompiscatole. grazie!

18 aprile 2008

I've been here many times before.

i giorni sono istanti, iniziati e già dietro le spalle. si dice prima il dovere e poi il piacere, ma appena ho chiuso coi doveri è ora di dormire, che il giorno dopo ci si deve svegliare presto.
non mi lamento quasi mai, sarei ingiusta se mi dimenticassi che, a parte quelle poche ore di ozio in più, ho davvero tutto ciò che mi serve: l'amore dato e corrisposto, un'ambiente sereno in cui tornare ogni sera, un conto in banca che mio padre riempie per permettermi di fare ciò che mi fa stare bene, un'inesauribile voglia di imparare, una maglietta nuova di snoopy, la musica sempre nelle orecchie e non solo.
solo una cosa, però, rende gli istanti dei lunghi giorni: la lotta infinita per la ricerca di un equilibrio. l'imperterrito e interminabile tentativo di non finire risucchiata dall'abisso buio dei miei stessi pensieri. tengo i pugni chiusi mentre osservo le ore dilatarsi, esitare a concludersi, stupite del fatto che ancora sia in piedi e non sul letto raccolta ad abbracciarmi le ginocchia.
non ho tempo per fermarmi, non ho tempo per pause o indugi, ma il tempo per arrendermi chissà perchè non manca mai.
un po' di spazio per farmi del male lo riesco sempre a trovare.
così mi chiedo: come può una persona di media capacità, di media intelligenza, di media sensibilità, essere dotata un'ostinazione così inarrestabile e estrema nel voler distruggere tutto ciò che ha?

come posso?

15 aprile 2008

logic of a friend.

(le mie amiche quando parlano)

mi sono passate a prendere venerdì. l'aria era tiepida e per una sera sembrava davvero primavera. piadine e vino, mi hanno raccontato cose che le altre quattro sapevano a memoria: sconosciuti all'università, amiche deludenti, progetti per l'estate. mi hanno aperto la porta di un mondo a cui non appartengo più come se la chiave mi spettasse di diritto; non importa se la loro delicatezza non mi ha evitato di sentirmi estranea, a volte quasi superiore, a una dimensione che è sempre tristemente identica a sè stessa.
ero lì, eravate lì. eravamo lì.
nemmeno la musica orribile aveva grande importanza, nemmeno quella canzoncina ska che hanno messo a un certo punto a ricordarci senza nostalgia come eravamo sei anni fa.
ma è domenica che ho capito, non venerdì nè tantomento sabato. domenica eravamo sul mio letto e arianna ha aperto un'ulteriore porta, diversa da quella di due giorni prima: la porta piccola che tiene nascosta davanti a cui pone un muro di risate rumorose e discorsi paradossali, dietro cui conserva un buon numero di demoni e casini.
volevo dirle che a volte mi manca tanto. volevo dirle che non sto bene come dovrei e come vorrei. volevo dirle che ho paura di perderla.
nel momento in cui ho capito che non ce n'era bisogno e che potevo semplicemente ascoltarla parlare in silenzio, lei è entrata (ancora una volta) nel mio mondo.

11 aprile 2008

if i go to the sea I'll bring you down, down with me.

a roma non ti svegli ascoltando gli uccellini cinguettare impazziti, a roma vieni subito investita dal frastuono di un traffico che non conosce sosta. non ti piace, ma è la tua bicicletta e la pedali senza lamentarti. un giorno cambierai quartiere, cambierai città, forse cambierai stato o addirittura continente, e ti sveglierai con gli uccellini ogni mattina da qui all'eternità.
ma, prima di ogni cosa, smetti di parlare di te in seconda persona.
fatto.
ieri dopo quattro ore di spagnolo da mal di testa, dopo ipotesi per la seconda delle mie due tesi e per la specialistica che mi hanno lasciata contenta, dopo un tot di vasche particolarmente ardue (ma sto tornando il pesciolino di prima, I swear!) e dopo un sacco di altre cose assolutamente non degne di nota ho preso il treno delle 15.45 per ancona. senza il vecchio slancio mi sono scapicollata in stazione per accorgermi, come spesso succede, di essermi affrettata inutilmente a raggiungere qualcosa che non avrei perso anche se avessi rallentato un po'. anche se mi fossi fermata a comprarmi un giornale o a guardare le vetrine.
alle sette meno cinque ero alla stazione di arrivo. mamma è tornata a casa, io sono andata con mio padre alle grotte del passetto (non quelle della grotta azzurra, nè quelle della seggiola del papa, quelle sotto ai laghetti); mentre si faceva strada da una coltre di nubi senza colore uno di quei tramonti che vedo solo qui, abbiamo guardato i colori delle porte e gli schizzi altissimi delle onde. abbiamo parlato di federico, e di come essere stato lasciato dopo quattro anni di storia l'abbia portato a un cambiamento rapidissimo dentro e fuori, dell'insegnamento, di putin e di evoluzionismo. ormai con le persone a cui voglio bene finisco a parlare di evoluzionismo, chissà perchè.
non abbiamo parlato della paura senza nome che mi ha preso per la gola tante volte questi giorni, al pensiero di tre miseri giorni qui. non abbiamo parlato del terrore del vuoto che ha sostituito l'intesa e del silenzio che ha sostituito infiniti flussi di coscienza, del mio non sapere che farci di tutto questo vuoto e di tutto questo silenzio. non gli ho detto che penso di non aver accettato che arianna abbia perso di centralità e importanza nella mia vita, e che sono sicura di non aver accettato il fatto di aver perso di centralità e di importanza nella vita di arianna.
forse mi illudo che se lo scrivo e basta questa paura non avrà voce, ma che se ne parlo mi travolgerà davvero. e non riuscirò a schivarla come ho fatto ieri con le altissime onde alle grotte del passetto.

8 aprile 2008

l'incanto è lo stesso.

i visi delle persone in metro alle nove di sera hanno una bellezza drammatica, plasmata dagli ultimi movimenti di un giorno che finisce.
le persone in metro alle otto sono assenti,
le persone in metro alle due sono appesantite da una corsa che è solo a metà.
le persone in metro alle nove di sera solo leggere. sono fatte dei sogni in cui vedono l'ora di gettarsi. spogliate di tutte le parole e i gesti della giornata, sono aeree. e bellissime.
le avrei fotografate se non fossi stata troppo esausta di una sveglia che si anticipa ogni giorno, della propaganda fascista, di cinquanta vasche, di converse verdi inzuppate nelle pozzanghere, del bentornata teodora, degli arcade fire alla fermata, delle parole di via cavour e di quelle di via ostiense, delle folata di vento che è tutta cristina donà, di un tragitto in autobus parlando di film con una persona conosciuta da poco, di un continuo osservare i visi di metro alle nove di sera.
io sono un viso in metro, alle nove di sera.

6 aprile 2008

me myself and I.


non ho molte persone a roma. non è mai stata una mia pretesa, essere piena di gente intorno, e vorrei poter attribure questa mia preferenza a una sorta di spocchia per cui meglio la qualità o meglio soli senza sapere che prenderei in giro in primis me stessa: la verità è che troppe persone mi danno ansia, mi impauriscono, mi rimpiccioliscono. non ne vado fiera, ma trovo assurdo negare la mia totale incapacità di propormi in determinati contesti. l'eccezione sono i concerti, ma onestamente: chi si accorge durante un concerto di tutte le persone che gli si accalcano intorno? io no, a meno di alcuni casi che immagino simone abbia perfettamente presente.
fatto sta.
ho trasportato qui a roma il modello di comportamento che avevo nella socialità anconetana, basato sostanzialmente nel rifuggire i grupponi e nel cercare di riempire di significato i contatti individuali. in tre anni, a fatica, qualche bel contatto si è istaurato nella marmaglia di quei goffi tentativi quotidiani che il più delle volte falliscono miseramente.
questo fine settimana i miei contatti hanno deciso di allontanarsi da qui, lasciandomi in uno stato di solitudine rispetto a cui sono assolutamente disorientata. tempo fa cucinare per una persona era la prassi. guardare film nel silenzio di una casa completamente vuota era la prassi. snodare i pensieri della giornata parlando da sola ad alta voce (ebbene sì!) era la prassi.
durante un'adolescenza spesso vissuta a sognare e a creare un mondo solo mio, la solitudine era una stanza calda e accogliente, che avevo arredato coi miei colori preferiti e riempito di suoni familiari. oggi rientro in quella stanza con gli occhi sbarrati, chiedendomi ininterrottamente che faccio, dove vado, con chi parlo? sono stata tanto presa dallo sforzo di rendere accoglienti i luoghi in cui incontrare gli altri, che ho lasciato che la polvere si sedimentasse su quella parte di spazio che deve essere solo mia.
servono nuove tinte, nuovi dischi nello stereo, nuovi poster alle pareti.


sarà più facile osservarti mentre ti allontani, e aspettarti mentre ti avvicini.

4 aprile 2008

non ho pace.

Well, my girl knows she's not all right, and I don't mind. Just give me time, baby, give me time.

prendo rompo apro chiudo lascio tolgo sposto e non ho pace.
su una cosa potrai sempre contare, potrai sempre essere certo.
per quanto la tentazione a non rialzarmi più ci sia, per quanto forte sia il dolore e per quanto ogni sconfitta sembri decisiva,
io non mi arrendo.
che sia dopo un'ora, che sia il giorno seguente, che sia il momento in cui tra le nuvole rapide della mia testa si fa strada il tuo sorriso.
io non mi arrendo. non far caso al resto.
non credo in un futuro sereno per me, non ci credo mai; certe volte ho semplicemente la sensazione che, mentre tutti se ne andranno come hanno sempre fatto, tutto questo non se ne andrà mai. come può questo rassicurare? non rassicura, ma zittisce, e a volte ho solo bisogno di un po' silenzio nella mia testa.
devi sapere che c'è una parte piccola e silenziosa che non perde mai speranza. questa parte crede che nonostante non si possa star bene del tutto, nonostante le persone non si possano riprogrammare da cima a fondo, ci sia una possibilità che prima o poi questo enorme peso si alleggerisca. che diventi più sopportabile. è la parte che mi fa alzare la mattina, che mi fa cercare comunque un rapporto con le persone che ho intorno, che mi muove per le strade di roma.
a questa parte mi sto aggrappando pù forte che posso, fino a far sanguinare le mani.
a questo possiamo credere. io con te, tu con me.

And that weight you hold, it's getting light, and, love, I know you'll raise it easily up high. Just give it time, just give it time. Oh baby, just give it time.